Risorse Bibliografiche
Aa.Vv., La tecnica, la vita: i dilemmi dell’azione, (Annuario di filosofia - Seconda navigazione), Mondadori, Milano 1998, pp. 288.
fascicolo I, volume 8 (1999), pp. 159-161.
Recensioni
Aa.Vv., La tecnica, la vita: i dilemmi dell’azione, (Annuario di filosofia - Seconda navigazione), Mondadori, Milano 1998, pp. 288.
Il presente annuario di filosofia, si presenta in realtà privo di numerazione, trattandosi di esemplare unico nei 12 mesi: pertanto è l’anno a scandirne l’individuazione e la successione. Inoltre, si caratterizza in quanto polarizzato sullo sviluppo di un tema monografico, seppure trattato secondo varie modalità ed una certa interdisciplinarietà (in questo caso, tra scienza genetica e filosofia). Il numero del corrente anno, tratta il tema esposto dal titolo in tre sezioni. La prima, e più vasta, intitolata Filosofia della Tecnica; si muove tendenzialmente a partire da un approccio epistemologico ed etico; la seconda: Natura e Sostanza, l’approccio ontologico; si definisce da sé; la terza ed ultima, intitolata Clonazione, genetica e libertà, affronta temi specifici di attualità in soli quattro saggi, di cui tre sviluppati da specialisti di medicina e bioetica e l’ultimo da un filosofo della scuola di Ricoeur (D. Jervolino). Gli autori dei vari saggi appartengono alle aree ed alle opzioni culturali più diverse (accomunando ad esempio: G. Cottier, R. Spaemann, E. Berti con P. Rossi, S. Tagliagambe, ecc.), probabilmente come segno di pluralismo aperto e per una maggior efficacia dialettica (nel senso platonico) nella trattazione tematica. L’editoriale parte dalla nota critica di Marx ad una tesi di Feuerbach, «i filosofi hanno finora soltanto interpretato diversamente il mondo: si tratta invece di trasformarlo», per constatare che, se questa è la soluzione di ogni problema, anche l’esito di una filosofia-rivoluzionaria è risultato fallimentare. Se però tale frase si applica all’impressionante ritmo dello sviluppo tecnologico attualmente in corso (particolarmente rilevante nella genetica, dove la “cultura” sembra in grado di trasformare la “natura”), parrebbe che proprio la tecnologia sia allora l’unica realtà mediatrice in grado di “inverare” l’affermazione di Marx, o il suo noto postulato per cui l’uomo non è, ma si fa. Non potrò che effettuare una selezione dei saggi inclusi nel presente volume, non avendo lo spazio per commentarli tutti, sia pure brevemente.Il primo saggio, di Vittorio Possenti, tra le varie interessanti argomentazioni sottolinea il fatto che la tecnologia moderna differisce dalla scienza e dalle tecniche tradizionali. Queste ultime, infatti, dichiarando preventivamente l’obbiettivo della ricerca e la tecnica impiegata, consentivano all’etica di intervenire già in fase di enunciativa degli scopi e dei mezzi idonei a conseguirli. La tecnologia invece si preoccupa di migliorare e diversificare le potenzialità dei mezzi, lasciando in secondo piano una pluralità di nuove e poliedriche applicazioni (fini), in gran parte sfumati e non immediatamente determinabili. Di conseguenza, spesso l’etica finisce per esprimersi solo di fronte al “fatto compiuto” (si pensi al far west attuale prodotto dalla fecondazione in vitro, che richiede tuttora una legislazione adeguata, e di conseguenza, una riflessione etica a posteriori su una situazione di fatto per molti versi inquietante, ingovernabile e problematica). Per Paolo Rossi la tecnica è ambigua per essenza, come la figura mitica di Dedalo: produce il male e offre rimedi al male. Guai però a quei filosofi (metafisici o etici) che pretenderebbero di inserirsi in questo problema: sono liquidati in un paragrafo dal significativo titolo di parrocchialismo filosofico. Sembra che bisogna limitarsi a contemplare il fluire del divenire, salvo intervenire quando il fiume rischia di impaludarsi, invece che scorrere (verso dove?). In quest’ottica l’unico filosofo da salvare è Francesco Bacone ed i suoi più fedeli epigoni (tra cui, immagino, si annovera lo stesso Rossi). Al saggio di P. Rossi, sembra contrapporsi invece quello di E. Agazzi che ribadisce la necessità di connettere la tecnoscienza (così definisce la sofisticata tecnica attuale) con l’etica e l’antropologia, rifiutando una visione meccanicista della natura (e di conseguenza della tecnologia) che impoverisce la priorità della dimensione morale dell’uomo, invece pienamente ribadita dall’autore. J. Sanguineti, analizzando la filosofia classica, vede come la tecnica appaia una continuatio, una imitazione della natura non umana volta ad integrarla e perfezionarla: è un misto di necessità e libertà. L’uomo stesso appartiene, con la razionalità, alla natura. È naturale per lui usare la ragione e la tecnica. Cosa lega dunque natura non-umana e natura umana? Il fatto che la ragione umana è naturale nella sua radice, e la natura infraumana è inconsapevolmente razionale (leggibile solo da un intelletto umano o di altro essere razionale: intellegibile). Interessante lo studio filosofico della tecnologia, distinta in tre livelli:- tecnica A: ovvero, la fabbricazioni di artefatti strumentali;- tecnica B: quella capace di indurre la genesi di sostanze o specie viventi, o almeno in grado di produrvi una modifica strutturale, nel loro modo di funzionare o nei loro ritmi;- tecnica C (solo allusa): è la tecnica B che appare inaccettabile se applicata all’uomo (ovvero quando si esclude il semplice curare o completare ciò che manca in natura per difetto congenito); infatti si scontra con le esigenze etiche della persona, che in un certo senso danno diritto all’etica di analizzare e valutare anche le tecniche A e B, in quanto indirettamente sono comunque connesse a persone. Infatti il possibile etico ed il tecnicamente possibile non coincidono.La tecnica appare a Sanguineti come una delle grandi risposte dell’uomo al male naturale (il male fisico), purché non sia affidata solamente a “tecnocrati”, proprio per l’ambiguità delle sue applicazioni future (non esiste solo un male fisico, per l’uomo).La seconda sezione è introdotta da un breve, ma prezioso saggio di E. Berti che preferisce seguire la tesi aristotelica sul concepimento della vita, piuttosto che quella tomista, influenzata dalla lunga tradizione cristiana della “animazione successiva”, facilmente impugnabile oggi da parte di chi si oppone a concedere uno statuto all’embrione, per lo meno a partire dallo zigote. Mi pare profonda la difesa del concetto di sostanza, e di sostanza individuale (derivata dalla definizione boeziana-aristotelica di persona) contro una teoria attuale per cui l’embrione non è un individuo, ma una pluralità di individui. Berti risponde con una nota distinzione che Aristotele fa tra l’universale e l’intero. Il primo si predica di molti individui, restando identico in ciascuno di essi (cioè non è una sostanza); mentre l’intero è l’unità continua di molte parti, che non si predica di esse e quindi può anche essere una sostanza. La divisibilità dell’embrione sarebbe proprio di questo tipo. Ciò dunque non gli impedisce di essere una realtà individuale, nel senso di realtà particolare, suscettibile di ulteriori determinazioni a partire dalla sua “totipotenza” (termine tecnico-scientifico per indicare una poliedricità di sviluppi determinati, presente solo nella fase selettiva iniziale dell’embrione, e non necessariamente una pluralità di individui originaria che preceda il processo selettivo). Cottier ci offre un quadro di atteggiamenti storicamente determinatisi di fronte al rapporto tra uomo e natura e, di conseguenza, uomo e tecnica. Una delle preziose indicazioni che emergono è che se oggi il termine “diritto naturale” appare tuttora in discredito, ciò si deve solo ad un tenace pregiudizio “moderno”, per cui per la libertà e per la moralità, la natura non ha alcuna struttura normativa (pregiudizio, fondato da Cartesio nella sua divisione tra res extensa, regno della necessità e res cogitans, regno della libertà, amplificato poi da Rousseau e Kant).Infine Robert Spaemann offre un penetrante studio sul termine natura, condannando come contradditorie, in base alle loro conseguenze, le opposte teorie del naturalismo e dello spiritualismo. Infatti, queste dissociano nell’homo sapiens la sua dignità di persona (totalità di senso come universale), unico fondamento esaustivo dei cosiddetti diritti umani, dalla sua conformazione biologica materiale. Ovvero, il valore universale unico ed intangibile che nel concetto forte di persona è strettamente congiunto alla sua individualità, che necessariamente non si può impunemente separare dalla corporeità: l’uomo non è solo res cogitans. Pertanto Spaemann ammonisce contro quel falso personalismo di stampo illuminista lockiano, che distingue tra persona ed uomo, attribuendo diritti solo alla prima e negandoli così a non nati, malati di handicap gravi, affetti da demenza senile, ecc. Se la persona è dunque uno status, non si comprende infatti come vietare di uccidere un esemplare adulto e sano della specie homo sapiens quando dorme: in quella situazione certo non è persona, ma semplicemente uomo...Rinvio senza altri commenti alla lettura dell’ultima interessante sezione, che consente di aggiornarci sui problemi della genetica attuale secondo un profilo più medico-scientifico, ma sempre inquadrabile in ambito epistemologico, etico ed antropologico.
GIORGIO FARO