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ARCHER Margaret S., La morfogenesi della società. Una teoria sociale realista, Franco Angeli, Milano 1997, pp. 398.

fascicolo II, volume 6 (1997), pp. 352-355.
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ARCHER Margaret S., La morfogenesi della società. Una teoria sociale realista, Franco Angeli, Milano 1997, pp. 398.

Dopo l’esplosione della riflessione sistematica degli anni Ottanta, le figure principali della sociologia teorica (personaggi come Alexander, Giddens, Bauman o Touraine) sembrano aver lasciato da parte i modelli analitici generali per impegnarsi in discussioni sostantive sui confini e le categorie della modernità e postmodernità che vanno spesso a toccare campi intellettuali contigui in un gioco di contaminazioni e ridefinizioni reciproche. Così facendo, se da un lato arricchiscono notevolmente il bagaglio concettuale della sociologia, dall’altro pretendono di “sensibilizzare” a questi temi coloro che si occupano di ricerca empirica senza fornire loro una cassetta degli attrezzi coerente e utilizzabile.Margaret S. Archer, sociologa inglese già presidente dell’“International Sociological Association” dal 1986 al 1990, propone invece nel suo ultimo e più impegnativo lavoro, La morfogenesi della società, una metodologia formale da utilizzare per impostare e realizzare le ricerche necessarie alla creazione, nella definizione dell’autrice, di “teorie sociali pratiche”. Il volume è suddiviso in due parti: nella prima (capp. 2-5) l’autrice fa i conti con le condizioni sociologiche dell’individualismo e del collettivismo metodologici, individuandone e criticandone la comune base empirista, per passare poi a un’approfondita lettura del lavoro di due grandi pensatori contemporanei, Anthony Giddens e Roy Bhaskar, schierandosi decisamente dalla parte di quest’ultimo. La seconda parte (capp. 6-9) è invece dedicata all’elaborazione di una teoria originale, l’approccio morfogenetico, che si basa in primo luogo sull’approfondimento della distinzione, introdotta da David Lockwood, tra integrazione sociale e integrazione sistemica e sul concetto di “proprietà emergente”.L’ambivalenza tra libertà e costrizione, tra individuo e società, tra agire e struttura è il problema fondamentale che definisce l’orizzonte della teoria sociologica, un problema che da sempre si accompagna alla sociologia perché, afferma Archer, deriva da ciò che la società è intrinsecamente. Le posizioni classiche dell’individualismo e del collettivismo metodologici hanno proposto soluzioni insoddisfacenti, riducendo i due termini e considerando ora la struttura come un epifenomeno dell’agire, ora l’agire come un derivato della struttura. Archer chiama tali tradizioni rispettivamente “conflazione verso l’alto” e “conflazione verso il basso”, sottolineandone l’unidimensionalità e dimostrando come la comune radice empirista vada a pregiudicare irrimediabilmente le ontologie del mondo sociale che esse sostengono.Il superamento del criterio percettivo di esistenza e della causalità come connessione costante di eventi osservabili, vale a dire della tradizione humeana su cui si basa il dibattito classico, è la condizione necessaria per creare una teoria sociologica adeguata al proprio oggetto, che sia in grado di spiegare la costituzione e il mutamento della società senza dare illusioni di libertà illimitata né ricadere in un determinismo soffocante. Condizione necessaria ma non sufficiente: non basta rifiutare i termini del dibattito tradizionale per salvarsi dal pericolo della conflazione. L’esempio di Giddens è, in questo senso, paradigmatico. La teoria della strutturazione, che collassa i termini l’uno nell’altro nella ben nota “ontologia della prassi”, rendendoli indistinguibili, cade in una nuova forma di conflazione, quella “centrale”, caratterizzata da una serie di problemi del tutto originali ma altrettanto irrisolvibili.Nella soluzione individuata da Archer occupa un posto centrale l’assunzione di una prospettiva ontologica realista, per cui struttura e individui sono due strati di realtà radicalmente irriducibili l’uno all’altro che determinano, nella loro interazione, l’aspetto specifico della società in ogni momento dato (“dualismo analitico”). Di qui il rifiuto di ogni decisione aprioristica sulla forma della società, per analogia o metafora: la società come sistema aperto non ha una configurazione prefissata né uno stato ottimale, ma è, al contrario, il risultato emergente dell’interazione tra i gruppi sociali, e tra questi e le proprietà delle strutture sociali e culturali, che rappresentano il contesto di limiti e risorse in cui essi si trovano ad agire. Dalla distinzione tra i due domini delle “parti” e delle “persone”, deriva inoltre la possibilità dello sfasamento tra integrazione sociale e integrazione sistemica: un’interazione conflittuale tra i gruppi può accompagnarsi a relazioni ordinate tra le istituzioni e le strutture che compongono il sistema sociale, e viceversa.Il nuovo concetto di struttura sociale deve permettere di distinguere il sistema dall’interazione senza ricadere nella reificazione, peccato originale del collettivismo metodologico. Tale concetto è pensabile solo se all’accettazione del criterio causale di esistenza si accompagna l’abbandono della causalità humeana. Il modello delle connessioni costanti di eventi osservabili deve essere sostituito da quello dei “poteri causali”, vale a dire delle predisposizioni e tendenze insite nella struttura delle cose da cui derivano capacità causali che all’interno di un sistema aperto possono anche non produrre sequenze costanti di eventi osservabili e che persistono pur non essendo esercitate. La struttura come “proprietà emergente” è quindi un tipo specifico di conseguenza inattesa dell’agire, caratterizzato dal fatto che le relazioni interne che connettono i suoi elementi sono necessarie per la sua esistenza. Le potenzialità dei suoi componenti vengono inoltre modificate dalla proprietà emergente, che esercita quindi su di essi un potere causale autonomo e sui generis.La sociologia si dedica quindi alla scoperta dei meccanismi reali e transfattuali che danno forma alla società in una costante interazione tra strati differenti di realtà nel tempo, secondo le due proposizioni di base: la struttura precede necessariamente, le azioni la riproducono o la trasformano, e l’elaborazione strutturale segue necessariamente tali azioni. Le strutture socioculturali, che stanno tra loro in relazioni logiche intrinseche e necessarie, esercitano la propria influenza causale sull’interazione sociale e culturale, caratterizzata dal canto suo da relazioni causali tra i gruppi e gli individui. L’interazione sociale e culturale risulta nella trasformazione o nella riproduzione delle proprietà delle strutture e, nel corso del processo, nella modificazione degli stessi gruppi e individui che vi prendono parte. Archer chiama tale processo “tripla morfogenesi”: durante il mutamento del livello sistemico-strutturale avviene anche una trasformazione della geografia dei gruppi e delle personalità degli individui che costituiscono il livello sociale.Il modello analitico che risulta da tali premesse è particolarmente complesso e ricco di implicazioni. Archer analizza dapprima il modo in cui le strutture costituiscono per gli attori e gli agenti sociali un vero e proprio ambiente sistemico, oggettivo e indipendente dalle loro azioni e dalle concezioni che hanno di esso, in quanto è costituito dalle proprietà emerse durante precedenti interazioni, che esercita un’influenza transitiva sull’azione che gli agenti intraprendono nel perseguimento dei propri progetti (fase I). Le forme di condizionamento strutturale agiscono quindi sulle persone e sono transitivamente efficaci solo attraverso di esse. La distribuzione di risorse, potere ed expertise che deriva dalla elaborazione strutturale precedente, ascrive ai gruppi sociali degli interessi acquisiti alla conservazione o al mutamento della struttura socio-culturale, a seconda che questa rappresenti per loro un limite o una risorsa. Archer dedica gran parte del settimo capitolo ad un’analisi minuziosa delle relazioni strutturali di secondo grado che costituiscono l’ambiente sistemico in cui avviene l’azione degli agenti (collettività) e degli attori (individui), secondo le due dimensioni compatibilità vs. incompatibilità e necessarietà vs. contingenza. Le quattro combinazioni risultanti (compatibilità contingenti, compatibilità necessarie, incompatibilità contingenti, incompatibilità necessarie) spingono gli attori ad agire secondo una particolare forma di logica “situazionale”: opportunismo, protezione, eliminazione e compromesso.Nell’interazione socio-culturale i gruppi e gli individui mobilitano risorse e stringono alleanze nel perseguimento di obiettivi materiali e ideali riflessivamente costituiti. Fondamentale, in questa seconda fase, è la capacità da parte degli agenti collettivi di passare dallo stato di agenti primari, semplici aggregazioni di individui che condividono le stesse possibilità di vita, a quello di agenti corporativi, gruppi autocoscienti e organizzati, capaci di affermare e sostenere i propri interessi. Durante la fase II emergono allora delle tendenze che entrano in interazione con le caratteristiche consolidate delle strutture, risultando in proprietà emergenti di secondo e terzo ordine che costituiranno l’ambiente sistemico del prossimo ciclo (fase III).Il modello stratificato del soggetto a cui è dedicato l’ottavo capitolo è il complemento necessario alla teoria della struttura e dell’interazione. L’attore sociale, vale a dire l’individuo come occupante di un ruolo, è un aspetto che emerge dal suo essere parte di uno o più agenti sociali collettivi, che pongono il soggetto in una situazione in cui si incrociano gli interessi, la socializzazione e le motivazioni che ne costituiscono la personalità. Un modello siffatto si presterebbe naturalmente ad accuse di ipersociologizzazione del soggetto, se Archer non radicasse entrambi i livelli in una dimensione più primitiva, quella della persona, definita kantianamente dalla persistenza della coscienza di sé. A questo livello avvengono gli scambi del soggetto con gli altri due strati di realtà fondamentali, quello naturale e quello trascendente, che sono altrettanto importanti per la formazione della sua personalità.Il modello analitico che ho tratteggiato nelle sue linee essenziali viene spiegato in più punti facendo ricorso ad efficaci esempi sullo sviluppo dei sistemi educativi pubblici. Illustrando come i gruppi confessionali inglesi hanno sfidato il monopolio della chiesa anglicana sull’educazione, mobilitando le masse verso le proprie scuole e favorendo l’emergere di nuovi gruppi autocoscienti e di nuove configurazioni istituzionali, prima tra tutte la scuola pubblica, l’autrice svela le potenzialità del proprio approccio, che, attraverso una miscela di elementi analitici e prospettive storiche, può spiegare sia il mutamento sociale sia i casi in cui il mutamento non è avvenuto, senza per questo presupporre che all’interno della società non fossero all’opera forze con finalità innovatrici. Coerentemente con la propria impostazione realista, l’approccio morfogenetico è essenzialmente eziologico e retrodittivo: il suo formato esplicativo è quello di una storia analitica dell’emergenza di fenomeni particolari.La proposta di Margaret Archer costituisce una sfida potente che va a situarsi al centro dei dibattiti contemporanei nella teoria delle scienze sociali. La sua concettualizzazione permette di superare definitivamente i problemi legati alle declinazioni della distinzione micro/macro, sfociando in una sociologia pienamente relazionale che non tralascia la possibilità, insita nella sua radice realista, di una critica dell’esistente. E proprio la dichiarata intenzione di produrre una metodologia sociale esplicitamente realista mi sembra la caratteristica più importante e interessante di questa opera. Partire da una posizione epistemologica di realismo critico significa innanzitutto rifiutare le semplificazioni e i problemi che inevitabilmente si accompagnano ad una visione della sociologia tutta proiettata sul presente, in cui la crescente complessità di una ricerca empirica basata su epistemologie deduttive ed empiriste serve a nascondere enormi voragini concettuali e teoriche. Dall’altra parte, l’impostazione realista permette di evitare le secche del relativismo radicale che caratterizza tutta la sociologia del postmoderno e che, come afferma l’autrice in conclusione del suo libro, finisce per trasformarsi in una riflessione estetizzante che pur senza pretese di verità punta ad affermare la propria egemonia su basi esclusivamente retoriche. In Italia gli autori che si richiamano al realismo critico di Rom Harré e Roy Bhaskar (per citarne solo alcuni: William Outhwaite, Andrew Sayer, Jeff Isaac, Peter Manicas, Christopher Lloyd) non sono entrati nel dibattito teorico, ancora impegnato sulle suggestioni sistemiche di Niklas Luhmann e la teoria della strutturazione di Giddens. La morfogenesi della società è un’opera provocatoria, soprattutto nella sua costante sottolineatura della tripartizione della realtà, naturale, sociale e trascendente. Un libro di sociologia che si apre distinguendo il mondo sociale da quello della natura e da quello della divinità non può che mettere a disagio i cosiddetti “pensatori deboli” e in generale tutti coloro che, per una ragione o per l’altra, ritengono che la metafisica non debba essere ammessa entro le porte della cittadella della scienza. L’occasione, tuttavia, è importante per non lasciarsi sfuggire un’opera notevole, che apre una finestra su un dibattito e una scuola di pensiero (ingiustamente) ignorati dalla sociologia italiana. MATTEO BORTOLINI