Risorse Bibliografiche
AGOSTINO D'IPPONA, De immortalitate animae - L'immortalità dell'anima, testo latino-italiano, introduzione, traduzione, note e appendice, a cura di Giuseppe Balido, Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2010, pp. 223.
AGOSTINO D'IPPONA, De immortalitate animae - L'immortalità dell'anima, testo latino-italiano, introduzione, traduzione, note e appendice, a cura di Giuseppe Balido, Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2010, pp. 223.
L'opera De immortalitate animae è stata scritta da Agostino probabilmente nella primavera del 387, l'anno della sua 'conversione'. Questo lavoro, estremamente impegnativo, è destinato a dare una risposta più precisa ai problemi lasciati in sospeso nell'ultima parte dei Soliloquia, in cui l’autore rifletteva sulla problematica relativa alla natura immortale dell’anima umana individuale, personale, «perché sede inseparabile di una disciplina, la dialettica, coincidente con la verità e perciò con l’immortalità» (p. 41).
L'edizione critica latina del De immortalitate animae, tenuta presente dal curatore, è quella tratta dall’edizione Maurina (PL 32, 1021-1034, ed. Migne) citata secondo la «Nuova Biblioteca Agostiniana» (III/1, Città Nuova Editrice, Roma 1970) ma senza apparati critici. Sono note le difficoltà che si incontrano nella lettura del De immortalitate animae; ciò viene confermato dall’esiguità delle traduzioni italiane offerte dalla ricerca specializzata. Prima di quella prodotta da Giuseppe Balido, infatti, c’erano state la traduzione di D. Gentili nel 1970, pubblicata nell’edizione critica precedentemente citata, e quella di G. Catapano, pubblicata da Bompiani nel 2003, «a fronte di innumerevoli studi sviluppati sull’argomento» (p. 15). Balido, nella sua introduzione (pp. 19-61), nel tracciare le linee fondamentali che accompagnano lo sviluppo del pensiero filosofico sulla dottrina dell’anima, evidenzia i termini principali utilizzati da Agostino: anima, animus, subiectum, doctrina, disciplina, dialectica, ratio, mens, ars, contemplatio, verum, species. Pur sottolineando il debito culturale che Agostino contrae con la filosofia platonico-neoplatonica, il curatore esclude che la stessa abbia potuto esercitare sull’Ipponense un’influenza organico-strutturale, poiché di essa il genio di Tagaste si serve solo in funzione strumentale (p. 36).
Con anima, secondo Balido, Agostino si riferisce: sia a ciò che dà vita al corpo (psychè, cioè il soffio vitale di cui hanno trattato vari filosofi greci), sia alla forma del corpo umano organico con richiami ad Aristotele. Con animus, invece, l’Ipponense designa le facoltà dell'intelletto e della volontà della persona umana. Balido, accogliendo la posizione di Nello Cipriani (p. 66), può constatare come Agostino in quest’opera giunge alla conclusione che sia tutta l’anima ad essere immortale e non solo l’animus. Da qui, viene richiamata l’attenzione sulla posizione agostiniana che, nel recuperare il carattere dell’appetitus dell’anima, nei confronti del corpo, dà avvio ad nuovo modello antropologico distante sia da quello platonico-aristotelico sia da quello neoplatonico (p. 67).
I diversi spunti al riguardo consentono di rileggere, alla luce dell’insegnamento di Agostino, lo stesso De anima di Aristotele come un’effettiva rigorizzazione antropologica della visione platonica; tali ipotesi e suggestioni esegetiche esigono un’attenta e meno sprovveduta verifica filologica. Non è un dato marginale riflettere sull’importanza della nuova concezione che Agostino ci offre sull’anima, poiché essa si ripercuote sul valore ontologico del corpo che pur tendendo al nulla non raggiunge il totale annientamento ontologico (pp. 111-115); in tali passaggi del testo agostiniano, Balido scorge la conferma razionale di ciò che Agostino ha ricevuto come dono della fede: il corpo che partecipa alla gloria della resurrezione. Dunque, siamo portati a ritenere che il termine animus assuma, complessivamente, un significato quasi sinonimo di anima a cui vengono collegati il “soggetto” (subiectum) che riceve la “dottrina”, la “dialettica”, o la “ragione”, l’“arte”, “l'essenza”. Questi termini sono utilizzati da Agostino per dimostrare con serrate argomentazioni l’immortalità dell’anima. Nel corso di tali argomentazioni viene evidenziato lo stridente contrasto fra realtà mutevoli, oggetto delle scienze naturali, umane e sociali, e realtà immutabili come quella dei rapporti fra numeri (p. 72) relativi alla scienza matematica o geometrica. Da ciò nasce il problema di capire e chiarire la connessione, la relazione, tra le facoltà sensibili e quelle intellettive, quindi tra ciò che è mutevole e ciò che è “universale”, “immutabile”, “immortale”.
Agostino prende le distanze da Platone, non solo sulla dottrina della conoscenza come reminiscenza, che implica la preesistenza dell’anima e la ciclicità delle reincarnazioni, ma anche sulla dimostrazione dell’immortalità dell’anima basata sulla legge dei contrari, sostenendo «convinto l’opposizione fra sensibile e intelligibile e l’affinità dell’anima con Dio, poiché è proprio questa condizione a rendere possibile alla mens l’acquisizione delle conoscenze che le consentono di contemplare gli intelligibili» (p. 37). L’anima della singola persona può avere la “scienza” matematica degli “universali”, “immortali”, ma pur mutando, soffrendo e dimenticando cose acquisite, essa non può morire, poiché partecipando dell'universale non si trasforma in una essenza inferiore (cfr. De imm. animae, 13, 21), non può essere convertita in corpo (cfr. ibidem, 13, 22), non le viene meno la sua specifica capacità di vivere (cfr. ibidem, 14, 23). Il sentire dell’anima, dunque, non è interessato ai condizionamenti spazio-temporali (cfr. ibidem, 16, 25); l’anima, perciò, presenta una diversità strutturale rispetto al corpo fisico che è condizione fondamentale per la sua immortalità.
Il contributo importante di questa ultima edizione del De immortalitate animae (rispetto alle due precedenti edizioni, pur lodevoli per diversi aspetti), riteniamo consista nella rigorizzazione “scientifica” delle argomentazioni agostiniane, scandagliate con gli strumenti della logica antica e della logica simbolica contemporanea. Con la guida di M. Malatesta, Balido è riuscito ad illuminare molti passi dello scritto agostiniano, rimasti in precedenza oscuri e motivo di ingiustificate interpretazioni, anche da parte di autorevoli studiosi (p. 204). In tale prospettiva, il curatore fornisce in Appendice (pp. 169-205) gli elementi di logica formale utili per comprendere l’analisi condotta sul testo.
Niccolò Turi